Catalogo Mediterraneum Collection 2018

catalogo mediterraneum collection 2018 1
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Med Photo Fest, 2009/2018

Dieci anni fa, provammo a vivere un’avventura ancora.
Mettemmo in acqua la nostra piccola barca, e v’imbarcammo i nostri sogni, i nostri ricordi, qualche ambizione e qualche tradimento.
Qual era il mare che volevamo attraversare? Provammo a riconoscerlo.
Lo chiamammo con tanti nomi ma, alla fi ne, non poteva essere che lui, il Mediterraneo, talmente consustanziale con la nostra avventura che nella sua defi nizione più comune rinunciava a essere chiamato Mare.
Talatta o pelago, mare aperto o mare chiuso, quel mare solcato dalle nostre ambizioni era, lo avete capito, l’immagine, più precisamente l’immagine fotografi ca, quell’esperienza nella quale la nostra giovinezza aveva confi dato per comprendere il tempo, per penetrare lo spazio, per parlare con l’anima; e alla quale oggi davamo fi ducia poiché nel passato ci era stata buona compagna di navigazione.
Mediterraneo fu il nome col quale battezzammo la nostra creatura Med Photo Fest, consapevoli che l’avremmo pilotata in un mare circondato di terre, culture, genti diverse e scoprimmo poi, tanti drammi.
E ci accorgemmo presto che il nostro mare era ancora attraversato da altre, troppe, sciagurate avventure; e sulle sue onde non suonava solo il desiderio di ritorno cantato da Ulisse ma, anche, quello, della disperazione e della fuga.
C’era, allora, bisogno di capire, di scrutare le ombre con quel radar che non ci aveva mai tradito e così chiamammo a raccolta i cavalieri e le dame dell’immaginario per farci raccontare da loro, in parole e immagini, come si naviga tra i marosi dell’esistenza; farci donare, attraverso il loro fotografare, la conoscenza di quella dimora dello sguardo che altro non è la fotografia.
Così, andando oltre la defi nizione di specchio della memoria, scavalcando quella di deposito di senso e pretesto per dialogare, i nostri compagni di avventura e di poesia ci allontanarono dalla fotografi a come specchio, come fi nestra e ci immersero in una fotografi a che sapeva di mare.
Il primo a imbarcarsi fu Ferdinando Scianna, bagarioto, fotografo della gente di mare e dei loro pesci; lui stesso eterno Cola Pesce che nell’azzurrità degli occhi non solo raccoglieva l’infanzia e i giochi della terra ma anche l’innocente mistero dell’esistenza.
Festeggiò, a bordo, con noi, i suoi ottant’anni Gianni Berengo Gardin, che tra la repubblica genovese e quella veneziana da tempo aveva individuato il baricentro di un’equilibrata visione del tempo capace di stare a galla da sola e non naufragare.
Franco Fontana ci parlò con il suo paesaggio, cifra del mondo e della vita e ci prestò i colori per farci riconoscere.
Con Peppino Leone, fu come approdare su una terra nota, comune, accogliente: era quella natia, quella di cui conoscevamo i suoni ed i profumi.
Poi, Nino Migliori ci raccontò un modo diverso di penetrare della visione, di capire che tanta bellezza nasceva dalla consapevolezza della sperimentazione, dello sguardo nuovo che occorreva ripulire ogni giorno.
Ci invitò a incontrare Piergiorgio Branzi, a conoscere il suo annotare, tra una cronaca e un servizio televisivo, quegli istanti che erano divenuti i mattoni della storia che volevamo navigare.
Mario Cresci ci avvertì che la forma, il colore, il tempo potevano apparirci come sirene ingannatrici e quindi occorreva conservare la bussola anche nel vortice più furioso della creatività.
Lisetta Carmi consegnò alla meditazione i nostri desideri trasformando in ringraziamento ogni incontro colla diff erenza, col buio, con l’ansia, con l’ignoto.
Francesco Cito ci ricordò che ogni tanto occorreva respirare e, tra un’immagine di violenza e un’altra d’idiozia, occorreva ricordarsi dei bimbi, del gioco, del mare ancora.
Frank Horvat, da ultimo, ci riconsegnò l’ingenuità matura e feconda dei suoi anni, spiegandoci che solo i bambini possono svuotare il mare.
È stato un viaggio appassionante che abbiamo condiviso con decine di altri fotografi e, inoltre, con accademici, filosofi e poeti dell’immagine, contenti di ritrovarci in essa (nell’immagine) come luogo di rifl essione, come tempo racchiuso, come spazio fi nito-infi nito.
Pippo Pappalardo


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