Piergiorgio Branzi Premio Mediterraneum 2014 per la Fotografia

ritratto piergiorgio branzi

Fiorentino (1928) comincia a fotografare negli anni cinquanta ottenendo immediata notorietà in Italia e all’estero.

Delle diverse anime della fotografia italiana, incarna quella più colta, più europea. Tra i primi a cogliere la modernità dei grandi modelli stranieri, francesi e americani, e a sperimentare l’uso del nero profondo nella stampa, Piergiorgio Branzi diventa, con Paolo Monti e Mario Giacomelli, un innovatore dei codici linguistici della fotografia.

Formatosi nella tradizione figurativa toscana, dotato da una naturale eleganza formale, le sue immagini aprono un capitolo nuovo nel panorama della fotografia italiana, identificato come “realismo-formalista”.

Personaggi e volti colti con sottile sarcasmo segnato da una vena surreale, in equilibrio tra un lirismo sommesso e una vivida caratterizzazione psicologica.

L’immagine definitiva, rigorosamente bilanciata nelle coordinate magiche della composizione, è per Branzi il prodotto di previsioni, di riflessioni, di aggiustamenti di tono e di tagli in camera oscura, di equilibrio formale e momento decisivo nella ripresa.

Nel 1955 intraprende un lungo viaggio in motocicletta, attraverso l’Abruzzo e il Molise, la Puglia e la Lucania, la Calabria e Napoli, ma anche verso le zone depresse del Veneto. L’anno successivo attraversa la Spagna, un paese e una società che a dieci anni dalla fine del conflitto appare ancora separata dall’Europa.

È uno sguardo curioso e partecipato quello di Piergiorgio Branzi, un viaggio attorno all’uomo, con le sue tensioni, la sua fatica di vivere che non è solo fatica di lavoro. I volti dei personaggi, colti dal suo obiettivo con ironia o tragica delicatezza, tendono a raggiungere valenza esistenziale e simbolica, dove spesso lo stupore prevale sull’empatia: divengono icone, maschere di una umanità lontana, tragica e pagana, misera e ingenua.

Partecipa alla intensa e innovativa esperienza dell’editoria giornalistica del dopoguerra, collabora attivamente all’esperienza de Il Mondo di Pannunzio, registrando con le sue immagini la nascita convulsa della società di massa, il formalismo nei comportamenti della nuova borghesia, il graduale processo di omologazione consumistica.

Verso la fine degli anni cinquanta Piergiorgio Branzi, dopo aver abbandonato gli studi di giurisprudenza, rallenta l’attività fotografica cercando uno sbocco nel giornalismo scritto.

All’inizio degli anni sessanta è assunto dalla RAI. Nel 1962 il Direttore del Telegiornale, Enzo Biagi, lo invia a Mosca, quale primo corrispondente televisivo occidentale nella capitale sovietica. Sono gli anni caldi della “guerra fredda”, la costruzione del muro a Berlino, la crisi di Cuba.

Rimarrà a Mosca quattro anni, una lunga convivenza, resa possibile dal primo “disgelo” kruscioviano, e che gli suggerisce di riprendere in mano la macchina fotografica per fermare e raccogliere situazioni, luoghi, volti, frammenti di quotidianità. Appunti di un diario visivo che apriranno uno spiraglio su atteggiamenti e comportamenti degli abitanti della capitale sovietica, centro nevralgico dell’immenso territorio che dal Baltico al Pacifico si estende per undici fusi orari.

Nel 1966 lascia Mosca per assumere l’incarico di corrispondente da Parigi. Dopo il maggio 1968, rientra a Roma come commentatore e inviato speciale del Telegiornale. Realizza inchieste e documentari in Europa, Asia, Africa.

Dopo l’esperienza moscovita lascia la fotografia sperimentando la pittura e l’incisione. Riprende a fotografare a metà degli anni novanta per una rivisitazione dei luoghi pasoliniani.

In questi ultimi tempi la città di Parigi, spogliata di miti artistici, letterari e filosofici, è al centro della ricerca di Branzi, che ne capta umori ed inquietudini, seguendo, come sempre, il proprio istinto e quella capacità di ascoltare ed essere in empatia con il personaggio che si trova di fronte al suo obiettivo.

Dal 2007 sperimenta le possibilità della tecnica digitale, nella consapevolezza che attraverso la sua insita utopia di democratizzazione possa, e debba aprire un cambiamento epocale, un giro di boa e di rotta nella pratica e nel codice linguistico del fare fotografia.

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