Premio Mediterranem 2021 per la Fotografia d’Autore
Da qualche tempo l’Etna, la nostra compagna di sempre, ci copre di sabbia vulcanica.
Il vento sospinge gli effetti dell’esplosioni sommitali e lei – fitta, nera, sterile e onnipresente – silenziosa si posa su tutte le superfici: dai tetti delle case domestiche, alle lucide automobili, e quindi alle strade, viali, foglie, aiuole, statue, fontane e quant’altro.
E poi ti tocca spazzarla, e ripulire tutto per tornare al tempo di prima, per restituire alla luce la tua quotidianità, la nostra pelle.
Quel manto luttuoso ed ingombrante, però, per un attimo ha stravolto le nostre visioni ponendo domande ai nostri sensi, soprattutto ai nostri occhi; e man mano che abbiamo ripulito e rimosso, sotto quel manto, le forme, i volumi, le linee, i colori riapparsi si sono rivelati nuovi, diversi; un’epifania di riconoscimenti e di attese.
Il velo di sabbia lentamente scompariva, infatti, e quello di Maya si stracciava sicché le cose, il caos, tutto, riprendevano la loro disponibilità ad incontrare lo sguardo. La luce e il lutto di mediterranea memoria tornavano a coniugarsi nella riaffermata sopravvivenza dei sensi.
Mentre vivevo quest’esperienza – di una coltre nera dalla quale volevo emergere, di una coltre nera dalla quale non volevo farmi soffocare – ho pensato alla poetica del fotografo Vasco Ascolini il quale, in tutto il suo lavoro, ha strutturalmente costruito la sua visione, e la conseguente rappresentazione, come momento dialettico che incontra l’esperienza del nero.
Quel nero che, per molti di noi, appare ancora misterioso ed inquietante poiché accostato all’origine del mondo e, contemporaneamente, alla morte o al nulla, ma che per il nostro fotografo è, spesso, solo un’ombra, una quinta, un ostacolo alla visione. Un nero, il suo, che non
vuole essere rimosso, piuttosto convivere con la materia rivelata dalla luce perché lui, il nero, è parte di quella materia.
Si, certo, i grandi miti di fondazione o i racconti della fisica moderna muovono da una “notte”, da un “buio” totale, da una “tenebra esistenziale” che magari fanno rima con silenzio, con inerzia, con immobilità. Niente di tutto questo nelle immagini del nostro Ascolini: il buio, qui. è generatore di forme, inventore di nuove scene, suscitatore di nuovi bagliori, riflessi, lampi, baleni. È attesa. È inquietudine.
E la visione che ne consegue, trova la sua espressione più compiuta nella raffinata sintesi del più classico ed ortodosso bianco-nero a conferma di questo assunto.
Siamo consapevoli che la lunga, straordinaria quanto partecipata, vicenda teatrale sperimentata dal Nostro Autore, ha contribuito a delineare e a mettere a fuoco il senso epifanico dei suoi neri. È stato, ed è ancora, il nostro Ascolini, un fotografo del gesto teatrale guardato non solo con interesse letterario ed artistico ma anche come momento privilegiato di meditazione trascendentale allorquando in un
frammento apparentemente effimero e virtuale si è reso consapevole, trasmettendolo agli altri, di aver penetrato l’essenza misteriosa del suo mestiere e del mondo che lo circonda. Il buio della scena, allora, si è aperta grazie al suo sguardo che ha preteso una luce e lei, la luce, si è rivelata sfidandolo a percepire la scoperta di nuove forme, di nuovi significati, di nuovi sensi.
E da quel buio che credevamo meramente eterno sono emersi lucidi momenti di vitalità, di sofferta razionalità umana, come pure di scogli insolubili di irrazionalità che non avevamo riconosciuto e che ci ha dato modo di intravedere.
Un’esperienza che il nostro fotografo ha saputo intelligentemente trasferire nella rappresentazione delle architetture delle città laddove, conservando sempre l’archè fondativo del progetto, ci ha ricordato che a quel progetto si sono succeduti i giorni della storia e del nostro tempo che vive dentro quelle città che rimangono sempre creature della nostra umanità.
Perché, e lo abbiamo capito da sempre, il vero protagonista dell’opera fotografica di Ascolini è il tempo. Quel tempo che, come ci ricorda il poeta Borges, non è difficile da fotografare perché: “il tempo è la sostanza di cui sono fatto; è il fiume che mi trascina ma io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora ma io sono il fuoco”.
Ed allora oggi ci onoriamo di conferire il premio Mediterraneum 2021 al Maestro Vasco Ascolini per averci insegnato “a cercare l’alba dentro l’imbrunire” (Franco Battiato) e quindi capire che dentro i suoi neri c’è tanto posto per la nostra mediterraneità.
Pippo Pappalardo